Tuttouomini vs. AIDS – La storia di Rock Hudson
Rock Hudson non si chiamava Rock Hudson, ma Roy Harold Scherer Jr. Classe 1925, è considerato uno dei più importanti attori statunitensi degli Anni Quaranta-Cinquanta.
Rock era bellissimo. Muscoloso, taurino, alto, moro. Era pieno di appeal-appeal, comico in coppia con Doris Day e drammatico quando era diretto da autori di serie A in melò pieni di colore. Ma Rock non viene ricordato per questo, purtroppo viene ricordato per essere stato il primo personaggio famoso morto di AIDS.
Il primo chiodo di una bara che avrebbe poi contenuto molti altri.
Dopo la morte di Hudson, le persone comuni prendono coscienza di quella nuova peste che si insinua non solo a Hollywood, ma ovunque. Con Hudson crolla tutto, tutto, tutto. Hollywood è costretta a confermare che persino le vite dei suoi attori erano costruite a tavolino per far piacere agli Studios e che la mascolinità, l’ostentata eterosessualità di Rock Hudson, finanche il suo matrimonio con la sua segretaria, erano una montatura per salvaguardare la sua carriera, che per loro non era altro che l’ennesima gallina dalle uova d’oro.
Era gay, il buon Rock. E la sua omosessualità era quello che in Italia viene definito “il segreto di Pulcinella”. A New York, tutta la comunità omosessuale sapeva chi era Hudson e che gusti avesse.
Racconta Tiber Elliott in “Taking Woodstock”: “Una notte, feci un salto a un party in un gande appartamento dell’Upper East Side. Appena arrivato, notai un gruppo di uomini stretti in cerchio, tutti concentrati a osservare qualcosa al centro della stanza. Ridevano, si muovevano in maniera scomposta, applaudivano quello che accadeva lì in mezzo a loro. Quando alla fine riuscii a farmi spazio nella folla, vidi Rock Hudson steso sul pavimento a gambe all’aria, rigoglioso e in stato di semincoscienza. Wow! Eccolo lì, Rock Hudson, un mito di Hollywood, sdraiato sul parquet, oggetto di scherno. Le sue bellissime fattezze erano deturpate dal troppo alcol e droghe. Era il ritratto della vulnerabilità: la sua bocca socchiusa in una smorfia, i capelli bagnati e tirati da un lato. Giaceva supino, esposto al pubblico ludibrio. Cinque o sei ragazzi si erano messi in fila e facevano a turno per slatargli addosso e scoparselo. E giù applausi e fischi di disapprovazione. Hudson era ridotto a un pezzo di carne, a qualcosa che la gente poteva usare per poi vantarsene nelle occasioni in cui si vuole esaltare il proprio ego. Mi girai dall’altra parte e me ne andai. Non era il seso che mi infastidiva, bensì l’assoluta disumanizzazione di quell’uomo che forse, per un momento, aveva creduto di poter essere se stesso senza paura“.
Hudson scoprì di aver contratto l’AIDS il 5 giugno 1984, dopo una visita medica. All’inizio, spaventato a morte, mentì. “Ho l’anemia“, diceva per giustificare la sua assenza di peso. “No, è una dieta troppo eccessiva, mangio troppo poco“, diceva alla stampa. Alla fine, arrivò a dichiarare: “Ho un cancro al fegato“. Viene chiamato nel cast di “Dynasty”, accetta. E’ contento di ritornare a lavorare, ma dimentica continuamente le battute, sta male. Per farlo andare avanti, gliele scrivono ovunque. Poi non fu nemmeno più in grado di pronunciarle. Ha un compagno, Rock Hudson. Un compagno di nome Marc Christian. Marc non saprà niente della malattia di Rock e continuerà ad avere rapporti sessuali con lui. Hudson non voleva che Marc sapesse e gli nasconde persino un viaggio segretissimo che fa a Parigi alla ricerca di cure miracolose. Ma quando arriva lì, capisce che non c’è più niente da fare e fa mandare dal suo ufficio stampa un comunicato con il quale dichiara pubblicamente la sua vera malattia. L’ospedale nel quale è ricoverato si svuota improvvisamente per il timore di un contagio. Rock Hudson è solo in un padiglione intero. Si sente abbandonato, è spaventato, pensa al suicidio. Vuole tornare a casa, ma nessuna linea aerea lo vuole come passeggero. A quel punto, prenota un intero volo tutto per lui.
Chi credeva suo amico, non volle più vederlo. La prima fu Linda Evans. Con lei aveva lavorato in “Dynasty” e c’era stata persino una scena di un bacio dato a fior di labbra fra i due. La Evans, terrorizzata dal contagio, non solo non volle più vedere Rock, ma si fece addirittura fare una serie di analisi per poi scoprire che era sana come un pesce. Le uniche due vere amiche che gli rimasero accanto furono Elizabeth Taylor e la bionda e sorridente Doris Day. La Taylor amava nel profondo Hudson, era la sua Grace. Sapeva della sua omosessualità e mantenne sempre il segreto. Non aveva paura del contagio Liz e ogni volta che può va a trovarlo, si siede di fronte a lui e chiacchiera, chiacchiera, chiacchiera. Doris non faceva altro che telefonare a casa sua. Persino un uomo come l’allora Presidente degli Stati Uniti d’America, Ronald Reagan, nel sapere la notizia pianse nel salotto della Casa Bianca. Era un amico intimo di Rock da tanto tempo e in nome di quell’amicizia cambiò atteggiamento nei confronti della sua politica sanitaria sull’AIDS.
Con Rock Hudson, l’AIDS si libera di quell’idea che fosse solo ed esclusivamente un virus che appestava i gay o la gente del terzo mondo. Diventa un Male del mondo intero, dall’America all’Europa, dall’Africa passando per l’Asia.
Rock muore il 2 ottobre 1985, a Beverly Hills, a soli 59 anni. I mass media di tutto il mondo erano puntati su di lui, sulla sua malattia, su quel cancro alle ghiandole linfatiche che lo aveva sconfitto.
Liz Taylor alla morte dell’amico disse delle parole che tutto il mondo condivideva: “La morte di Rock è un trauma enorme per me. Lo amavo. Non ho conosciuto un uomo più buono e generoso di lui in tutta la sua vita. Era un uomo semplice, acqua e sapone. Era impossibile non amarlo“. E da quel momento, la Taylor divenne la prima attiva promotrice di varie campagne di sensibilizzazione verso l’AIDS.
C’era anche lei quando il corpo del suo migliore amico venne cremato, i suoi occhi viola furono fra i primi a guardare le ceneri di Rock Hudson spargersi in mare.
Scrive sempre Elliott nel suo libro: “Eravamo tutti dei Rock Hudson, archetipo dell’uomo gay per trent’anni, che visse la grande bugia su scala planetaria: di giorno attore donnaiolo e osannato dalle folle dietro cui si celava, di notte un omosessuale e, soprattutto, un uomo terrorizzato. E come noi, aveva bisogno di tutte le droghe e gli alcolici che riuscisse a ingurgitare per sfuggire alle sue identità inconciliabili, in guerra aperta dentro di lui. alla fine morì di quel male tipico dei gay, che io chiamo autorigetto, altri invece Aids“.
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Lo zio Nico