Christmas’s Ávido – Capitolo VIII: Esteban Ávido incontra anche lo Spirito dei Natali futuri
E con uno schiocco della frusta in aria, anche quella casa si sgretolò sotto gli occhi di Ávido che si ritrovò in un cortile abbandonato in zona Tortona, fra alberi ritorti che si stagliavano contro l’orizzonte di smog e neve.
Ávido notò con stupore che lo Spirito del Natale presente si era fatto tanto grasso da poter essere scambiato facilmente per Jabba di Star Wars. Proprio lì, fra le pieghe di grasso dello spettro, sbucò fuori una mano magrissima e consumata come quella di Madonna senza Pconturbanteoshop.
«Cosa o chi diavolo ti sei mangiato? Ma sei uno spirito cannibale?»
Lo spirito, che aveva smesso di ridere e che guardava Ávido negli occhi come se gli ardessero e con la stessa furia del premier quando legge L’ECONOMIST, alzò la sua ciccia, dalla quale sbucarono fuori due bambini tremanti che subito si strinsero al suo pancione. Erano un ragazzetto e una fanciulla. Magri come Nicole Ritchie, dalla pelle giallastra come Bart e Lisa, vestiti di stracci, mettevano a disagio Ávido per le loro occhiate furtive e il loro atteggiamento servile. Lo stilista indietreggiò turbato. Dato che li aveva presentati lo spirito, cercò di dire che quei sottospecie di figli del Gollum erano due bei bambini, ma la sua voce si rifiutava di formulare altre bugie e le parole gli si strozzarono in gola, ricordando anche la minaccia dello Spirito del Natale passato che gli aveva intimato di trasformarlo in legno se avesse pronunciato un’altra bugia.
«Spirito… Hai delle strane perversioni… o sono i tuoi figli?» fu tutto quello che riuscì a dire.
«No, cretino! Sono i figli dell’uomo» rispose lo spettro con voce triste.
«Questa fanciulla si chiama Ignorance… e il bambino si chiama Bisuan…»
«Sembra il nome di due profumi francesi… Ma non hanno casa? Perché vivono con te? E i loro genitori?»
«Non c’è forse lo Stato, per questo?» ribatté lo spirito, ritorcendogli per l’ultima volta contro le sue stesse parole «E la cassa integrazione? E le pensioni di invalidità? Gli accompagnamenti? Non sono gli strumenti che il welfare state usa per aiutare i meno fortunati? O non sono più operativi?»
Ávido si sentì preso in castagna.
«Ho capito. Basta così. Ho capito. Basta fare gli spiritosi… ehm… spirito» mormorò, trattenendo un sorriso dentro le labbra per quell’inaspettato gioco di parole.
I due bambini lo guardarono con i loro grandi occhi sconsolati come quelli di Paola Frizziero di fronte al NO di Carmine e tornarono fra le immense pieghe di grasso dello Spirito del natale che, espandendosi improvvisamente, non riusciva a essere contenuto dalla slitta, che si spaccò. La sua pancia travolse le bellissime renne-ragazzo che, spaventati e urlanti, cercarono qualche via di fuga, ma non ci fu nulla da fare. Persino Ávido venne portato via.
Per un attimo, Ávido pensò di essere stato inghiottito dallo Spirito e si sentì soffocare. Poi una brezza d’aria gli donò un po’ di respiro e si ritrovò in piedi in totale oscurità. Come fosse caduto dentro la tinta corvina di Cher. Da quel buio, prese finalmente forma un bambino con le mani in tasca e con un look da copia ancor peggiore, se mai fosse possibile, del leader dei Tokyo Hotel, ma senza polipi nella gola. Aveva un’espressione triste sul volto, segnata da occhiaie d’insonnia, era secco, incorporeo, e i suoi anfibi sfioravano a malapena il terreno. Il bambino emo si avvicinò lento, grave, silenzioso e Ávido si sentì colmo di pietà nel vederlo conciato in quella maniera, tanto che per un attimo gli balenò il pensiero di ucciderlo per mettere fine alle sue indubbie sofferenze.
«Bambino, sei tu il terzo spirito?» mormorò «Sei il fantasma del Natale che deve ancora venire? Rispondimi, sottospecie di Pete Wentz …», ma il bambino continuava a tacere, tenendo la testa bassa e così Ávido implorò: «Sei venuto per mostrarmi le cose che non sono ancora venute, ma che avverranno? Io ho poco tempo da perdere bambino, se non mi rispondi, ti strucco…»
Il bambino emo sembrava combattuto. Ávido aveva visto uno sguardo simile in altri bambini quando aveva più o meno la loro età: sembrava uno di quei dodicenni che vivono reprimendo la propria omosessualità. Finalmente, fece un lieve cenno affermativo.
«Gli altri mi hanno insegnato quello che è giusto. Perché tu non mi dici nulla?»
Il bambino tolse la mano dai jeans, era smaltata di nero e aveva i calli nei palmi delle mani… Le braccia invece erano segnate da ferite orizzontali su più punti. Autolesionismo. Gli fece cenno di seguirlo, ma per quanto Ávido si fosse ormai abituato alla compagnia dei fantasmi pari all’allegria di un gruppo di supporto a Iva Zanicchi, titubò dato che quell’ombra silenziosa cominciava a incutergli uno strano senso di timore.
«Spirito del futuro» esclamò «Però se non parli mi spaventi… Non dico di disquisire un po’ sul senso della vita, ma un po’ di conversazione… Almeno per tenermi sveglio durante il viaggio…» silenzio «Vabbè… ho capito… Ti seguo, zitto e muto».
Un’immensa sala si materializzò nel fondo di quel buio come se l’unica luce disponibile fosse proiettata solo su quel punto e, passo dopo passo, si fecero sempre più vicino fino a quando non vi furono dentro. Erano in quello che sembrava essere un party, fra uomini d’affari che parlavano con escort bulgare e ceche, mentre facevano tintinnare il bordo dei loro bicchieri al suono delle bottiglie di champagne che li riempivano. Lo spirito si fermò vicino a una donna con un caschetto ridicolo, una pelliccia addosso e degli occhialoni enormi come due fanali. Invisibile a tutti, lo stilista si fece avanti per ascoltare ciò che la donna stava dicendo. Era Anne Wintour, con una nuova segretaria da torturare al suo fianco e che poi, una volta licenziatasi, avrebbe scritto un best seller sull’esperienza.
«Che cosa ne pensate?» chiedeva una giornalista bionda americana, con un quotidiano sottobraccio.
«Le solite parole di circostanza… Detto fra noi… Con lui, non funzionano proprio» disse la Wintour scrollando il caschetto.
«Pare anche a me»
«Certo. Era un uomo formidabile! Era così avanti! Quell’articoletto che hanno scritto non compensa quello che è stato. Un vero esempio da seguire per tutti noi: non ha mai dato nulla ai poveri, non l’ho mai sentito dire una parola di conforto a qualcuno. Io sarò anche il Diavolo che veste Prada… ma lui… Lui era terribilmente avanti»
Ávido aggrottò la fronte, cercando di capire di chi stessero parlando.
«E quando è morto?» chiese Donatella Versace voltandosi d’improvviso verso di loro.
«La scorsa notte» rispose la giornalista americana, poi incalzò con una domanda «Avete saputo qualcosa del suo assistente?»
«Aveva un’assistente?!?» esclamò la Wintour «Per me, sono come invisibili»
«Di chi parlano?» chiese Ávido allo spirito «Chi sarebbe il morto?»
Lo spirito, senza una sola parola, alzò le spalle.
Immediatamente, scomparvero tutti intorno ad Ávido, come se qualcuno avesse spento la luce. Si ritrovò ancora una volta in un buio completo, ma con lo spirito al suo fianco. Ancora più lontano di prima, da un puntino bianco proveniva un chiacchiericcio disturbato. Lo spirito si incamminò ancora una volta, con lo stilista dietro. Il puntino bianco altro non era che il ristorante dove Ávido era solito consumare tutti i suoi pasti.
«Ma siamo a Chez Martine! Troppa gente però…»
Lo spirito sbuffò con una smorfia di pietà sul volto… Poi seguì con lo sguardo Ávido che si era diretto per conto proprio verso il suo tavolo. Con grande stupore, lo stilista vide che vi era seduto un uomo che stava sorseggiando placidamente dello spumante, circondato da amici festosi.
«Quello è il mio posto!» protestò «Che gran figlio di puttana! Vengo qui ogni giorno, all’ora che mi pare… proprio per questo mito ho affittato quel tavolo! Per averlo sempre libero! E ora c’è questo qui!» la sua espressione di stupore svanì e un ghigno di malvagità gli si disegnò fra le labbra «Ah… ho capito» esclamò «Il proprietario di Chez Martine fa il furbo, io devo aver appena cenato e lui per non perdere un coperto lo rende comunque disponibile agli altri. Dico bene, spiritello? Eh sì, ma cosa mai mi dovrebbe insegnare questa cosa?»
Il fantasma fece un cenno di diniego e i suoi occhi, che già erano tristi, si fecero sull’orlo di una crisi isterica.
Fu di nuovo buio, Ávido si fece ancora più allarmato e vide lo spirito dirigersi verso una zona d’ombra meno scura delle altre che sbucava in un sudicio vicolo di Milano, di fronte a uno squallido punto vendita dell’oro usato. Lo spettro entrò e Ávido con lui. Seduto dietro un vetro opaco si muoveva una figura irriconoscibile, mentre in fila stavano due donne, la più vecchia aveva due occhiali con lenti grosse come fondi di bottiglia e la dentiera ballerina.
«Prego riponete gli oggetti nel piano…»
La prima donna mise sul tavolo un Rolex del tutto simile a quello che Ávido portava al polso e un anello in oro con tre rubini che brillavano. Lo stilista scosse la testa preoccupato, mentre la figura dall’altra parte esaminava con cura gli oggetti e valutava la cifra. Se il Rolex era simile al suo, quell’anello se lo ricordava bene. Era quello che il suo defunto padrino gli aveva regalato per la sua cresima.
«Spirito… Ho capito… Non sono stupido… oltretutto… ho anche letto Canto di Natale di Dickens… Questi sono miei… Io sono morto!!! Io sono morto, spirito! Non è così piccolo demonio?!?» urlò prendendo per le spalle il bambino e strattonandolo, ma il bambino emo invece di piangere si lasciò sfuggire una risata satanica. Non aveva ancora terminato di ridere che la terra sotto di loro parve aprirsi e Ávido si sentì sprofondare nel nulla. Era ancora il buio, poi l’ultima luce da seguire. Stavolta il bambino spettro emo sghignazzava e correva svelto e Ávido fu costretto a correre per raggiungerlo, mai come in quel momento avrebbe desiderato la sua auto e il suo autista per inverstirlo. Solo quando lo raggiunse si accorse di essere finito al cimitero. Il bambino emo sogghignava davanti a una fila di lapidi, lo stilista si avvicinò e ciò che vide scritto su una tomba lo impietrì d’orrore.
«Stefano Schilirò… È il mio nome, porca vacca… Sono io!» gridò. E una paura profonda e sincera lo scosse fin nell’anima, portandolo ad uno svenimento teatrale come quelli di Maurizia Paradiso.
Lo zio Nico
Antonio P.